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Cosa ha sussurrato Lautaro al momento del cambio? Un dettaglio lascia tutti perplessi

Un gesto silenzioso, uno sguardo fisso verso la panchina e parole appena udibili: la ricostruzione degli attimi relativi al cambio di Lautaro a Parma.
La sfida del Tardini tra Parma e Inter ha lasciato dietro di sé non solo un pareggio che pesa in ottica campionato (e non poche prestazioni deludenti su cui riflettere), ma anche qualche malumore sotto la superficie. Il protagonista, in questo caso, è Lautaro Martinez. Al momento del cambio, al 65’, l’argentino ha reagito con un’espressione che non è passata inosservata.
Dietro la scelta dell’Inter: un piano ben preciso
Il cambio era stato deciso dallo staff tecnico nerazzurro con largo anticipo, come precisa la Gazzetta dello Sport. Sul parziale di 2-1 in favore dell’Inter, Farris ha dato seguito a un piano pensato nei minimi dettagli: tenere Lautaro in campo per circa un’ora, poi sostituirlo per gestirne le energie in vista del delicatissimo quarto di finale d’andata contro il Bayern Monaco, fissato per dopodomani, martedì 8 aprile. L’argentino era reduce da un infortunio muscolare e la sua uscita era parte di un programma per mantenerlo al top. Ma proprio mentre l’Inter cercava di difendere il vantaggio, è arrivato il pareggio firmato Ondrejka, appena quattro minuti dopo l’uscita del numero 10. Un pareggio che ha tagliato le gambe ai nerazzurri e reso ancora più amara la scelta tecnica.
Dietro quel “no”: delusione personale e fame di campo
Lautaro non ha contestato la decisione, ma ha mostrato tutto il suo disappunto con una compostezza che dice molto. La sua non è stata rabbia nei confronti della panchina, quanto piuttosto una frustrazione per non aver potuto contribuire fino alla fine. Il gol del Parma, arrivato subito dopo, ha dato peso a quella sensazione: con lui in campo, forse, la storia sarebbe andata diversamente. Lautaro sente sempre più la squadra come una responsabilità personale, sente il peso della fascia al braccio e il desiderio costante di fare la differenza. Quel “no” ripetuto sottovoce era il sentimento di un leader che avrebbe voluto restare in campo fino all’ultimo secondo.

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